Niente quad nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Intanto, a pochi km passa il Giro

Niente quad nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Intanto, a pochi km passa il Giro

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di Aldo Frezza – ha suscitato allarme tra molte associazioni ambientaliste d’Abruzzo, CAI, WWF e Mountain Wilderness tra tutte, la notizia di un raduno di quad che si sarebbe dovuto svolgere, a dire degli organizzatori, all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise lo scorso 20 maggio. In seguito, un comunicato del Parco è intervenuto sulla questione, precisando che:

  • nessun raduno di quad era stato autorizzato nel Parco
  • la cosa è nata da un’iniziativa di un’imprenditore di Castel di Sangro, la cui azienda si occupa di noleggio di  cavalli e quad, organizzando tour nella zona con tali mezzi
  • i tour dell’operatore turistico in questione si svolgono comunque  in zone fuori dai confini del Parco
  • l’operatore turistico in questione sarà diffidato dall’usare il nome del Parco Nazionale per propagandare le sue iniziative

Da una nostra analisi, sembrerebbe che, in effetti,  siano scomparsi dal web – dopo l’intervento del Parco – sia l’annuncio del raduno in questione sia ogni indicazione di percorsi “nel” Parco Nazionale, almeno nella pagina principale. Però, nelle pagine interne del sito dell’azienda in questione, la comunicazione sembra giocare ancora un po’ sull’equivoco, vantando la possibilità di “…percorsi sempre più avventurosi fino a 3 ore di durata rivolti a chi desidera esplorare più a fondo il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise…” e, poco dopo, promettendo di “…divertirsi insieme in quad alla scoperta di questo splendido scorcio del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise…”.

Ma il comunicato del PNALM non si ferma qui, e prosegue:

riteniamo che le stesse attività di escursioni in quad e trial vadano assolutamente vietate nei territori montani perché ne compromettono i delicati equilibri di biodiversità animale e vegetale.

I territori a confine con il Parco, come quelli di cui stiamo parlando, non sono meno importanti per la conservazione di habitat e specie, a cominciare dall’orso bruno marsicano.

E’ semplicemente sconcertante il fatto, che a distanza di quattro anni dall’emanazione della legge forestale n. 3/2014 da parte della Regione Abruzzo, nulla sia stato fatto, per quanto riguarda la classificazione delle strade di montagna e relativa regolamentazione del traffico.

Provvedimenti che aiuterebbero sensibilmente la strategia per la conservazione della biodiversità.”

Infatti, l’articolo 37 della Legge regionale richiamata dal Parco prevedeva che, entro 12 mesi dall’entrata in vigore,

…i comuni propongono al Servizio (della Giunta regionale competente in materia di politiche forestali) il riconoscimento della viabilità forestale (…) già esistente e a tal fine inoltrano apposita istanza corredata da tutti gli elaborati necessari a definire per ogni singolo asse le caratteristiche della stessa.. “.

L’articolo 45, poi, dice esplicitamente che

nei boschi e sui pascoli è vietato il transito di mezzi meccanici con motore a combustione interna” e che “Sulla viabilità di cui all’articolo 37 è consentito il transito esclusivamente ai mezzi necessari per il pronto soccorso, la vigilanza, l’antincendio, per esigenze di studio e ricerca, i lavori forestali e agricoli, comprese le perlustrazioni preliminari, e di quelli utilizzati dai proprietari o possessori nelle forme di legge per motivi di lavoro o di accesso ai propri fondi ivi inclusi il trasporto o il transito del bestiame”.

Plaudiamo al fatto che il PNALM si sia opposto ed abbia preso le distanze dall’iniziativa; avremmo desiderato vedere tale lungimiranza anche in altre occasioni, da parte di aree protette a pochi chilometri di distanza da quella in questione.

Intendiamo riferirci al recente passaggio del Giro d’Italia tra le strade del Parco Nazionale del Gran Sasso – Monti della Laga, per la tappa che terminava a Campo Imperatore il 13 maggio. Il passaggio della carovana non era su strade forestali, d’accordo, era legato ad un avvenimento sportivo, d’accordo, però ci si sarebbe potuto interrogare sulla reale opportunità del transito nella zona, e sulle sue nefaste conseguenze. Molti hanno postato su Facebook, dopo la tappa, la scia di rifiuti abbandonata lungo tutto il percorso, molti meno hanno parlato, prima, dell’improvvida decisione del Parco. Tra questi, prendiamo dal blog collettivo “A passo d’uomo” quanto ha scritto il 13 maggio (quindi prima della tappa di Campo Imperatore”) Mario Marano Viola, in un articolo su “come si banalizza un Parco”.

“...l’ultimo esempio di gestione debole di un’area protetta nazionale è rappresentato dalla volontà dell’Ente Parco di autorizzare il transito della carovana del Giro d’Italia sull’altopiano di Campo Imperatore, il 13 maggio. Un primato della banalizzazione!
    Ha senso far transitare i ciclisti con il seguito di auto di servizio, mezzi pubblicitari sull’altopiano più esteso degli Appennini, riserva integrale del Parco? No! La fauna selvatica subirà uno stress notevole, sotto la pressione acustica orizzontale prodotta dalle auto, dalle moto e dalla tifoseria umana e verticale prodotta dagli elicotteri.
   Un parco che viene trasformato, per due giorni, in un grande circo di rumori, voci, pubblicità commerciale, smog, turismo invasivo, costringendo la fauna selvatica a nascondersi.
   Sulle strade e sulle rispettive banchine, i mezzi motorizzati lasceranno una quantità smisurata di particolato chimico e di rifiuti che non porterà benefici alla vegetazione della prateria e alle acque carsiche sotterranee che alimentano gli acquedotti di valle...”

e ancora:

“Portare il Giro d’Italia a 2100 mt. di altitudine, presso il cadente albergo costruito negli anni Trenta del Novecento, dimostra la riattivazione della guerra dell’uomo contro la montagna.
    Come se non bastasse, l’Ente Parco ha autorizzato il transito della carovana ciclistica sulla strada pedemontana Rigopiano – Colle Corneto di Castelli il giorno 15 maggio, nel versante orientale del Gran Sasso, un’arteria aperta al traffico automobilistico agli inizi degli anni Ottanta e mai collaudata per caduta massi.
    L’Ente Parco ha dimenticato l’impatto acustico, lo smog e le vibrazioni degli elicotteri sulle pareti calcaree friabili alte dai 500 ai 1000 mt. delle cime dei monti Coppe, Tremoggia e Dente del Lupo, mettendo in pericolo l’incolumità dei camosci per il rischio caduta.”

Parole che, rilette oggi, dopo la tappa, suonano come una profezia (anche se ben facile).

http://www.apassoduomo.it/

 

 

 

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