Tommaso Landolfi “La Pietra Lunare”

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di Alberto Osti Guerrazzi –  Tommaso Landolfi “La Pietra Lunare” (Adelphi, 2010) –  

Nel 2009 il Parco Regionale dei Monti Aurunci ha inaugurato un’area picnic  a Fossa Rotonda, un bel pianoro ad oltre 1000 metri dove si arriva dal paese di Pico, paese natale di Tommaso Landolfi, uno dei maggiori scrittori italiani del ‘900.

cover pietra lunareL’escursione che da Pico sale a Fossa Rotonda,  al vicino e altrettanto bello pianoro del Sorvello e al monte Sordo, la percorre di notte Giovancarlo seguendo Gurù, la sua fidanzata; al Sorvello Gurù lottando con una capra bianca diventerà a sua volta capra dall’ombelico in giù, per poi incontrare un allegro gruppo di briganti morti dai nomi fantastici, quali Sinforo il Rosso e Vincenzo di Squarcia. In quella magica notte di luna piena, notte vietata ai “solari”, dove in montagna accade di tutto, i briganti  morti combattono con l’altrettanto morto Napoleone, uomo di fiducia della famiglia di Giovancarlo qualche secolo prima, lo sconfiggono e gli tagliano la testa. Poi i briganti festeggiano la vittoria con grandi libagioni a base di vino e carne arrostita; nel pianoro si presenta allora tutta  una genia di creature diafane, metà uomini e metà animali; prima del giorno Giovancarlo e Gurù, sempre a metà capra, incontrano nei pressi di uno stagno le Tre Madri, figure bianche e sinistre dallo sguardo quale Medusa e da cui Gurù e Giovancarlo si sottraggono a fatica.

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La fantastica avventura notturna di Giovancarlo, giovane di buona famiglia tornato al paese natale da Roma, dove studia all’università, per trascorrervi l’estate, è il cuore del romanzo di esordio di Tommaso Landolfi, La Pietra Lunare; il romanzo si apre con una feroce descrizione della vita di paese degli anni ’30,  una serata di riunione familiare dove appare Gurù, ragazza di paese in odore di stregoneria; continua con altre gustose descrizioni di figure di paese (come il Prefetto in pensione che ama la polvere e non sopporta che la moglie la spazzi via), per poi trasportarci in una montagna reale e fantastica insieme, dove la descrizione quasi da guida escursionistica dell’itinerario percorso da Gurù e Giovancarlo è colorata con la luce irreale del mondo magico che era, fino al non molto tempo fa, il territorio della montagna, non solo appenninica.

Nella notte che i due protagonisti trascorrono sulle terre alte degli Aurunci appaiono figure che appartengono alla cultura magica dell’Italia centrale, trasfigurate dalla scrittura immaginifica di Landolfi ma estremamente reali nella loro dimensione appenninica; si riesce a sentirli come appartenenti ad un archetipo nostro, lupi mannari, donne mezze capre e mezze streghe, briganti padroni della montagna e dei suoi luoghi più alti e nascosti; insomma tutto un mondo fantastico creato in buona parte (i briganti spesso erano reali) dalla fantasia e superstizione popolare , con cui veniva popolata la montagna, vista come un luogo misterioso, pericoloso, magico.

È qui forse l’interesse maggiore del romanzo, nel farci rivivere una dimensione della montagna oggi perduta però ancora presente ancorché sepolta nel nostro animo quale archetipo junghiano, archetipo che forse è pronto a riemergere, magari in una notte di bivacco al Sorvello, aspettando Giovancarlo, Gurù e i suoi amici briganti.

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