Perdersi, trovarsi: l’ispirazione e la sorpresa

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di Rolando Tagliaferri – Un nulla, un desiderio, e poi… non paura cioè confidenza, fiducia certa che può accadere qualcosa di bello quando rischi di perderti ma rischi anche di trovarti…

Le Pratarelle d’inverno, la mattina sono una località amena aperta ed armoniosa. Non c’è nessuno a calpestare il silenzio e il prato, solo l’abbaiare di due grandi cagnoni bianchi, chiusi però nel vicino recinto delle pecore. Al centro delle Pratarelle c’è un grande fontanile che questa mattina ha un potente getto di fresca gradevole acqua. Il prato verdissimo, imbevuto come una spugna dalle piogge di fine inverno e dalla neve che ora sta a decorare le cime più alte e più interne del nostro Appennino, ci costringe camminando a curiose serpentine per non bagnare troppo gli scarponi. Sotto un vento teso da nord, una bella fredda tramontana, la nostra sosta al fontanile è breve, giusto il tempo di riempire d’acqua la bottiglietta. Sulla destra il sempreverde bosco di conifere produce un suo particolare suono quando il vento lo colpisce con le sue raffiche, come se gli aghi dei pini fossero corde di uno strumento…non ci credete? La vicina boscaglia spoglia, ancora in abito invernale, colpita dello stesso vento non ha la stessa voce… ed ora la costeggiamo seguendo lo stradello in discesa recintato da robusto filo spinato che ci separa dal ruscello. Il sentiero con il suo segnavia bianco-rosso ha più tepore e segue il percorso di un’antica strada, chi dice medievale chi dice romana: siamo nella Sabina!

Il ruscello rumoreggia, raccoglie piccoli affluenti ora ricchi d’acqua e man mano si fa più grande con verdi pozze bordate di cespugli, muschi e piccoli anemoni intensamente viola con un bianco ciuffetto al centro. In mezzo a questo paradiso…il segno della presenza del lupo: un pezzo di testa di cinghiale non grosso, con le due bianche zanne! Ora il percorso risale un pochino per varcare una rupe rocciosa e la strada è tutta una lastra di pietra una vera carreggiata incisa da solchi segno di antica percorrenza, ora discende di nuovo e tra gli alberi spogli appare in basso non lontana l’Abbazia con le alte mura del quadrato chiostro ma non è evidente né campanile né chiesa. Tutto attorno a noi fango e copiose deiezioni per l’intenso calpestio delle mucche e mucchi di paglia e fieno per questa specie di stalla all’aperto. E’ da qui che mi è venuta l’idea di lasciare il percorso troppo battuto per salire al vicino fontanile posto in più amena posizione anche per sostare un po’ e per godere di una vista un po’ più aperta. Sul cemento del manufatto appare inciso CFS, la Forestale e una data: 1956 e vicino sotto un alberello c’è un rustico tavolino fatto con un grosso lastrone di pietra che però giace abbattuto da una parte…ci giriamo a guardare la montagna spoglia e maestosa che, come… ci invita a percorrerla…per cui Francesca ispirata dice: perché non saliamo lì? So quello che ci attenderebbe: un percorso faticoso tra rami e sassi senza sapere esattamente dove si va… Andiamo a vedere se si può almeno facilmente raggiungere il vallone che si vede salire in direzione della dorsale del monte Cima Casarene: su piccoli spiazzi erbosi una miriade d’anemoni viola-neri, grandi, che sembrano coltivati in giardino, una vera rarità. Trovato il passaggio un po’ tortuoso tra i cespugli, andiamo facilmente verso il boscoso vallone evitando a sinistra una rupe e la zona accidentata di pietre, seguendo il percorso dei cavalli bradi cha dai pratini alti di cresta scendono abitualmente verso il fontanile per bere. Ora saliamo e saliamo con tornanti a zig-zag con fatica nel terreno smosso dagli scavi dei cinghiali e dalle piogge. Pare un antico percorso e a un bivio ci pare meglio andare a sinistra verso dove si vede tra i rami il cielo più vicino, cioè verso quella che si rivelerà una sella anche se boscosa. E’ lì che ci appaiono la prima muraglia su terrazze più aperte, poi nella parete di roccia come uno stipo con la sua bocca quadrata che pare quella di un forno ma non c’è segno di fuoco…lasciati lì gli zaini procediamo all’esplorazione di quello che si rivelerà un antico borgo turrito, con ancora qualche finestrella nei resti delle mura con conci squadrati e legati a malta…Felicemente stupiti ci chiediamo che nome potesse avere questo luogo, quanti gli abitatori e in quale epoca vi risiedessero…Ora il luogo appare aspro ed abbandonato ma è certo che un tempo una forte e robusta razza umana qui svolse la propria vita.

 

Sabina di Orvinio,  13 marzo 2016

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