L’Appennino e le nuove tendenze sulla montagna in inverno

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di Alberto Osti Guerrazzi – qualche giorno fa (9 novembre 2015) un articolo a tutta pagina su Repubblica titolava: “Fuga dalla montagna d’inverno; e gli hotel puntano su chi non scia”. L’articolo, di Andrea Selva, partiva da un’analisi dello svizzero Laurent Vanat, definito come il guru dello sci: in uno suo studio molto recente Vanat osserva come negli ultimi 10 anni il numero degli sciatori sia diminuito del 15%, dato che a suo dire va letto nel senso della fine della crescita del sci alpino classico, basato sullo sfruttamento intensivo della neve attraverso gli impianti di risalita. È un fenomeno che non osserva solo Vanat: Alessio Liquori, del CAI e qualche anno fa della TAM, fece conoscere uno studio dove si osservava come la quasi totalità delle stazioni invernali italiane si regga solo sulle sovvenzioni pubbliche, e ciò anche qui a causa del calo di presenze.

L’articolo di Selva continua raccontando come il calo degli sciatori sia dovuto anche ad un cambio di abitudini, per cui sempre più persone rifuggono il carosello degli impianti per cercare un approccio alla montagna invernale più dolce e silenzioso; è una tendenza, quella dello slow, da molti anni in auge in tutto il settore turistico, e non solo. Con irritante ma utile anglismo questi turisti invernali “nuovi” vengono chiamati SLONS (Snow LOvers No Ski), persone quindi che approcciano la montagna invernale magari con le ciaspole, per una passeggiata nel bosco che porti ad un rifugio tranquillo, dove mangiare una buona polenta.

È una tendenza che è facile prevedere in crescita, perché appunto rispecchia ciò che avviene in altri settori del turismo mondiale.

Eppure sembra ancora non del tutto compresa: mi viene in mente la pubblicità che in questi giorni sta facendo la Val di Fassa, che si promuove annunciando due nuovi impianti di risalita; ancora due, in una valle che è un reticolo di cavi e piloni.

Qualche settimana fa discutendo del futuro del Gran Sasso un esperto del nord sosteneva che questo andava visto nelle attività non invasive, e Luca Mazzoleni, del rifugio Franchetti, proponeva di utilizzare i fondi pubblici per potenziare la rete dei rifugi. È un approccio SLONS, che ci viene detto è quello del futuro, dell’immediato futuro.

Molti, specie in Appennino, sono invece quelli che ancora insistono sullo sviluppo basato su cemento e impianti nuovi, sempre più grandi e pervasivi; dal Gran Sasso al Terminillo a Passo Godi progetti vecchi e nuovi vengono proposti, a volte anche con finanziamenti pubblici.

Credo, ma non sono io a dirlo, che si tratta di progetti miopi, probabilmente inutili se non dannosi per lo sviluppo economico dei territori per cui vengono proposti. E bene fanno il CAI e le associazioni ambientaliste a combatterli ogni volta che si può.

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