di Luigi Nespeca – L’inverno appena trascorso è volato via insieme allo scirocco che in pochi giorni ha sciolto la poca neve caduta durante la stagione più calda degli ultimi anni. Questa situazione climatica anomala ha lasciato all’asciutto gli sci, i ramponi e le piccozze dei montanari più romantici che con aspettano altro che qualche fiocco di neve regali loro il sogno di grandi avventure siderali a pochi chilometri da casa.
Da qualche giorno si era sparsa sui social network la voce di un’ondata di gelo con nevicate in Appennino; insieme ad altri amici abbiamo monitorato con attenzione quasi maniacale l’evoluzione del meteo ed abbiamo stabilito con una certa precisione che nel pomeriggio di Lunedì 25 Aprile avremmo avuto una finestra di bel tempo, tra una nevicata e l’altra.
Spinti dalla nostalgia della neve, che voi lettori ben conoscete, abbiamo caricato gli zaini con l’attrezzatura invernale, già riposta nelle cantine e siamo partiti alla volta dei Monti Simbruini per un’avventura pomeridiana, proprio nel giorno in cui ricorre la Festa della Liberazione.
Ci avviciniamo a Filettino nelle prime ore del pomeriggio mentre ancora la pioggia mantiene occupati i nostri tergicristalli, ma siamo sicuri che quest’oggi la montagna ci regalerà un’escursione incredibile: un viaggio al confine tra due stagioni, lungo la linea che divide l’inverno dalla primavera, tra colori contrastanti, una rarità fotografica ed emozionale.
Lasciato l’abitato di Filettino per la provinciale che sale a Campo Staffi, la pioggia si trasforma in nevischio e man mano che saliamo di quota la nostra gita si trasforma in un vero inseguimento all’inverno che quest’anno è scivolato troppo velocemente sotto gli sci; dietro ogni curva si nasconde un’emozione ed un brivido tra freddo e gioia mi corre per la spina dorsale. Melody, che ha una vera passione per la neve, annusa l’aria che entra dai finestrini lasciati aperti per far entrare il profumo della neve fresca e della primavera.
Serra Sant’Antonio è l’ultima stazione del nostro viaggio verso l’inverno. L’ambiente è decisamente innevato anche se qualcosa di strano colpisce la mia attenzione: le fronde dei faggi sono già verdi e la neve avvolge le giovani foglie in un abbraccio gelido. Il contrasto di colori che nasconde tutta la contraddizione di questa ultima stagione attira l’obiettivo della mia macchina fotografica anche se purtroppo costerà molto ai faggi, grande bellezza del nostro Appennino.
Uno spazzaneve ha lasciato per noi una lingua nera nel piazzale bianco e deserto di Campo Staffi; parcheggio l’auto alla fine della strada, apro il portellone e Melody salta giù emozionata e corre all’esplorazione di questi luoghi che l’hanno vista giovane ed inesperta. Mentre allaccio gli scarponi la osservo che si rotola nella neve e ripenso alla prima volta, 4 anni fa, quando la portai qui per la prima volta; un sentimento nuovo mi coglie e mi rendo conto che la mia cagnolina in questi anni ha percorso i sentieri più belli di queste montagne ed ho chiaramente l’impressione che riconosca questi luoghi. Melody è un cane adulto ormai e ha la sua mappa mentale dei luoghi che abbiamo frequentato in questi anni.
Una nebbia leggera ancora copre il manto bianco appena depositato sulla terra che già ospitava la primavera, ci incamminiamo verso la Monna della Forcina, alle pendici del Monte Tarino, la nostra meta. Attraversiamo la faggeta di Campo Ceraso, tra radure e bosco, in un’atmosfera insolita, mentre il maestrale sta spazzando via le nuvole più scure, lasciando nel cielo solo innocui ciuffi bianchi che si rincorrono per la delizia del mio obiettivo fotografico.
Giunti alla Monna della Forcina, ci rendiamo conto che il meteo ha mantenuto la sua promessa: il cielo è pulito ed ogni pericolo di peggioramento è ormai scongiurato. Decidiamo senza indugio di proseguire verso la cima del Monte Tarino.
Il Monte Tarino è uno scoglio biforcuto che emerge tra i dolci pianori di Campo Ceraso e segna il confine naturale tra i territori di Filettino e Vallepietra. La sua parete sud precipita verso le sorgenti del fiume Aniene mentre la parete nord offre un profilo quasi alpino a chi la osserva dai confini più settentrionali del Parco dei Monti Simbruini.
La salita al Tarino dalla Monna della Forcina non è lunga, ma piuttosto ripida nel primo tratto di bosco, quindi affrontiamo il sentiero con decisione, cercando comunque di mantenere un passo che ci consenta di trovarci in vetta proprio nelle ultime ore del giorno per godere delle luci ed i colori di un tramonto invernale, decisamente fuori stagione.
Il sentiero è coperto dalla neve appena caduta; è quasi un dispiacere violare il bianco ma lasciamo a Melody il compito di segnare la traccia di salita. Alterniamo passaggi nel bosco e passaggi sull’assolato fino a raggiungere il filo di cresta che oggi ci offre un grande colpo d’occhio: il sole si sta abbassando proprio dietro la cima e la linea di cresta è illuminata dagli ultimi raggi di sole, radenti e caldi.
La neve fresca copre uniformemente la montagna ma valutiamo che non sia necessario allacciare i ramponi; in fila indiana seguiamo Melody che ci indica il sentiero più sicuro per percorrere la cresta del Monte Tarino, tra le più affascinanti e remote dell’Appennino laziale. Siamo sotto la cima, il sole, anche se non ancora tramontato, non illumina più l’ultimo pendio che stiamo risalendo e la temperatura inizia a gelare le mani. La neve fresca e leggera è soffiata dal vento che crea dei vortici bianchi in prossimità della cresta. Il freddo è pungente e concentriamo le energie per raggiungere la croce sulla vetta che ancora sembra riscaldata dagli ultimi raggi sole. Il panorama che oggi ci offre la montagna è insolito, grandioso.
Le montagne d’Abruzzo e il massiccio del Velino sono irrorati di sole e neve, colorati di una tinta pastello e il cuore vorrebbe staccarsi da terra e volare in quella direzione, ma la gravità offre una resistenza che oggi è dura da sopportare. La Monna della Lepre ed il volubro di Campo del Ceraso sono circondati dalla faggeta che ha assunto un colore tra il rosa ed il grigio.
Il sentimento che la natura questa sera suscita nel mio animo è la consapevolezza che la nostra vita è fatta di momenti unici, veloci e anche se distratti dalla contingenza più severa, dovremmo concederci di assaporare gli istanti di bellezza che il pianeta Terra ci regala. Sentirsi ricco e fortunato, senza un centesimo nelle tasche e una macchina scassata che mi aspetta a valle, è un privilegio che ricevo ogni volta che trovo la determinazione di salire su una montagna, sopportando un po’ di freddo e di fatica, resistendo al falso richiamo di un divano caldo e comodo.
Difficilmente dimenticherò la forza con cui il verde dei faggi risale i ripidi pendii di Colle Le Lisce e senza soluzione di continuità sfuma nel bianco delle quote più alte in un abbraccio effimero tra elementi contrastanti; e la delicatezza con cui il vento ormai primaverile accarezza l’ultima neve caduta sulle creste; ed i colori con cui il sole del tramonto dipinge la vallata per tornare poi all’alba. Il saluto affettuoso dell’inverno alla primavera nell’unico giorno di coesistenza.
Accendiamo le lampade frontali e seguiamo Melody che anche al buio riesce ad individuare il sentiero senza alcun problema. Raggiungiamo Campo Staffi alle 22 e la temperatura ormai abbondantemente sotto zero mi gela le mani, sciogliere i lacci degli scarponi diventa un’impresa. Metto in moto l’auto e saluto anche io l’inverno: arrivederci.
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