di Aldo Frezza – “Appennino atto d’amore”, uscito nelle librerie all’inizio di questo mese per le Edizioni Terre di Mezzo, è il racconto di un viaggio a piedi fatto da Paolo Piacentini attraversando un lunghissimo tratto di Appennino, da Riomaggiore nelle 5 Terre a Castelmadama, paesino alle pendici dei monti Lucretili dove ha abitato per anni. Paolo ha percorso insieme a Peppe, suo caro amico e da anni inseparabile compagno di avventure, circa 900 km, attraversando 7 regioni. I due amici hanno percorso l’itinerario prevalentemente a piedi, a parte alcuni tratti in cui – necessariamente – si sono dovuti servire di mezzi pubblici. E’ successo, ad esempio, quando hanno dovuto attraversare le zone colpite dal sisma di due anni fa, spesso ancora prive di servizi di accoglienza per mangiare e passare la notte.
L’amore e l’impegno di Paolo Piacentini per l’Appennino sono senza eccezioni, come il suo curriculum testimonia. Piacentini è stato negli anni fondatore ed accompagnatore di un’associazione romana di trekking, promotore ed ora presidente di Federtrek, presidente del parco dei Monti Lucretili, funzionario del Ministero dell’Ambiente, fortemente impegnato presso il Mibact per l’Anno dei Cammini, docente universitario, giornalista, scrittore. Ed anche caro amico da molti anni di chi scrive questo articolo.
Non è facile quindi, per me, parlare di un libro scritto da un amico. Devo dire, però, che sono stato favorevolmente colpito dal suo libro, e non solo perché è ben scritto.
L’atto d’amore di Paolo non riguarda solamente il viaggio, non solamente i paesi attraversati o i luoghi visti. Il suo viaggio – e le riflessioni che suscita, ben esposte nel libro, ben più che il mero diario di viaggio – è soprattutto l’attraversamento di un territorio interiore, dove ci si interroga sull’appartenenza, sulla presa di coscienza del legame indissolubile tra il proprio essere ed il territorio che si abita, che ci appartiene e al quale apparteniamo.
Non a caso, con questa frase Paolo apre il racconto del suo viaggio: “Se qualcuno, in questo momento storico, mi dovesse chiedere a quale partito o area politica appartengo, gli risponderei che appartengo all’Appennino. Appartengo a un territorio”.
E ancora, poco dopo: “Uno dei mali del presente è il vivere senza la consapevolezza di essere parte della geografia dei luoghi in cui si abita “
E, tappa dopo tappa, si dipanano i capitoli della narrazione come i cenni sui territori attraversati: 5 terre, Orecchiella, ingresso nella GEA, Casentino, città d’arte come San Sepolcro, Città di Castello, Gubbio, Assisi. Si entra nelle zone del sisma: Norcia, Cittareale, Reatino, Cicolano, Navegna. Infine, i Monti Lucretili, il vecchio percorso della via del Lupo, Castelmadama, casa. Ma si dipana, con le tappe, anche il filo dei ricordi e delle riflessioni.
Emerge sempre più chiaro, da questo ennesimo incontro con l’Appennino, come “le città hanno bisogno delle montagne, e viceversa le aree interne hanno bisogno delle città”. Ma l’occupazione invasiva della montagna degli ultimi decenni “ha deteriorato i saperi che avevano permesso un approccio al territorio non solo utilitaristico, ma lungimirante e di cura costante e consapevole. Le nostre montagne, e l’Appenino in particolare, hanno estremo bisogno di comunità che tornino a essere capaci di prendersene cura come fosse la loro Heimat”.
Paolo Rumiz, che ha curato la prefazione del libro, su questo è lapidario: “Se l’Italia perde l’Appennino, perde se stessa”.
Paolo Piacentini
Appennino, atto d’amore.
La montagna a cui tutti apparteniamo
Terre di Mezzo Editore
Pagg. 135